- Lamberto Santuccio
Etienne Kern, Il sarto volante
I video girati nei primi decenni del secolo passato hanno sempre qualcosa di buffo. È la velocità, la successione affannosa dei frame a renderli così strambi, e quando vengono ripresi uomini in tuba, baffoni e bastone accanto a donne in ampie gonne a campana che passeggiano tranquillamente per i boulevard di Parigi, sembrano sempre tutti morsi dalla tarantola, le gambe che muovono passi a un ritmo disumano. In effetti, a vederli oggi su internet, spesso insieme ai colori incorporati posticci sul bianco e nero dell’epoca si aggiunge quasi sempre in sottofondo una musichetta concitata, come da can-can, a seguire quelle convulsioni innaturali della folla. Serrato è anche il ritmo de Il sarto volante di Etienne Kern pubblicato di recente da L’Orma, con la sua successione frenetica di scene e capitoli, ma più che un accompagnamento musicale l’autore ha saputo aggiungere alle immagini di primo Novecento una nuova profondità, sullo sfondo così come dentro i personaggi.

La storia vera di un fallimento
La storia raccontata è vera, i documenti si possono trovare su Internet. Franz Reichelt, il protagonista, era nato nel vecchio impero austro-ungarico e, una volta giunto a Parigi, aveva faticato ad adattarsi al cambiamento, con l’ostracismo dovuto al suo tedesco, per i francesi la lingua dei nemici del 1870. Silente e buono, si era lasciato i ricordi della vita di prima alle spalle, aveva fatto carriera ed era diventato un piccolo sarto della capitale, riuscendo anche a farsi un amico, tale Antonio Fernandez. Ma la mania aerea di quest’ultimo aveva fatto un capitombolo trasformandosi in tragedia; in uno dei tentativi di volo col suo trabiccolo, Antonio aveva perso la vita sfracellandosi al suolo. Così, con davanti la vedova di cui si è innamorato, Franz Reichelt imbastisce un progetto, taglia e cuce un paracadute, ne ottiene il brevetto e organizza una dimostrazione pubblica. È il 4 febbraio 1912 quando si getta dalla Torre Eiffel; la folla che assiste all’evento lo vede precipitare in linea retta e lasciare sul terreno la vita e un avvallamento di quindici centimetri. La struttura di stoffa e tubi che si era raffazzonato addosso aveva disastrosamente fallito.
L'epoca delle invenzioni
Tra le pagine del romanzo, ad alternarsi con la storia di Reichelt, l’autore intromette sé stesso e le sue ricerche. L’idea germinale dell’opera, infatti, viene proprio dalla visione avvenuta per puro caso del brevissimo video del volo, lo stesso che, è cosa certa, il lettore andrà a cercare immediatamente su youtube. E poi gli articoli di giornale e le foto, tutti ossessivamente spulciati e stampati da Kern, e le ricerche storiche. Ne viene fuori, accanto a una vicenda individuale, anche un ritratto fatto a pennellate veloci di un’intera epoca, un mondo parecchio lontano da noi, “più semplice, più chiaro del nostro, ingenuamente ottimista”, senza le avvisaglie del conflitto mondiale che ne stravolgerà presto il profilo e dunque tutto rivolto ad assurde speranze, a progetti di migliorie e perfezionamenti, nell’epoca del folle innamoramento per il volo.
Una catena di voli
In realtà Etienne Kern si intromette spesso, e non lo fa soltanto per illustrare le fonti di cui si è servito. La sua penna, in alcune pagine, si fa molto profonda e intima, e a quel volo rivisto decine e decine o forse centinaia di volte tesse accanto altri voli, presi dalla sua stessa esistenza privata. Non a caso il titolo originale, Les envolés, usa correttamente il plurale e parla di differenti cadute, numerose dipartite e sparizioni. Le ossessioni d’altronde funzionano così e, nelle manciate di istanti in cui la cinepresa novecentesca inquadra la base del simbolo di Parigi senza nessuna figura umana in vista, viene normale chiedersi cosa si prova, cosa si pensa e cosa spinge un’amica o uno sconosciuto morto decenni prima a gettarsi nel vuoto. Solo due cose posso fare per loro - / descrivere quel volo / e non aggiungere l’ultima frase, scriveva la Szymborska a conclusione di una delle sue più celebri poesie. Lo stesso autore rifugge quell’ultima frase e si ingegna invece a costruire o tentare di ricostruire tutto il pregresso.
Il silenzio del pre salto
In effetti, cosa c’è prima del salto se non il silenzio del respiro trattenuto e del balzello iniziale? E del silenzio si dice spesso, a ragione, che sia colpevole. “I poliziotti, impassibili, non intervengono […] Nemmeno i giornalisti lo fermano, ansiosi di vedere fino a che punto si spingerà quel matto. Chi mormora che tanto alla fine rinuncerà è complice, mente di proposito”. Così anche l’assenza di parole prima del gesto estremo di un conoscente, il rovello di non aver detto abbastanza di fronte a un suicidio. Perlomeno il silenzio dà spazio alla scrittura, può essere riempito dalla narrazione di una storia, che magari scoverà le ragioni e che potrebbe anche innalzarsi a un inno del fallimento, se quest’ultimo è fatto con amore e speranza. È quello che riesce a fare Etienne Kern con il suo stile semplicissimo, lineare nel suo fraseggiare e piano nelle scelte delle parole, regalandoci un piccolo e snello gioiellino che resta in testa per la sua densissima delicatezza. - Lamberto Santuccio