- Lamberto Santuccio
Filippo Nicosia, Gli eroi si baciano
Gli incroci e le virate, gli intoppi, i giri vorticosi e gli eterni ritorni, poi ovviamente l’irruzione dell’impensato, prepotente com’è su ogni esistenza, e la sarabanda di emozioni che tutto questo comporta. Le pagine di un romanzo sono l’arena migliore per tentare di riassumere, o quantomeno riunire, vite diverse, scorrendo verso i nodi in cui si incrociano e slegano; il luogo perfetto per comprimere interi decenni e affiancare, a poche pagine di distanza, i grandi stravolgimenti spesso opposti che avvicinano e poi allontanano e poi magari riavvicinano ancora due individui. È quello che riesce a fare Filippo Nicosia in Gli eroi si baciano, il suo ultimo testo pubblicato da Mondadori.

Tutti protagonisti
Passandosi il testimone nel salto fra un capitolo e l’altro, quelli del romanzo di Nicosia sono tutti protagonisti e non personaggi, perché tutti centrali e richiamati in causa gli uni dagli altri: Jérôme, Bernardo, Cecilia, Nina, Betül… Sono soprattutto individui che crescono, dal momento che la storia si apre con una serata romana del 2005 e si chiude osservando da lontano l’orrore che ha colpito un’altra capitale, Parigi, nella notte del 13 novembre 2015, fra il Bataclan e altri angoli dei suoi boulevard – un lasso di tempo che permette gravidanze, conclusioni di amori che parevano eterni, decorsi fisiologici di gravi malattie ed esplosioni di carriere. Ognuno ha la propria attività lavorativa e i propri sogni, dalla modella all’aspirante scrittrice col suo manoscritto non ancora pubblicato, dall’editor di una casa editrice che vira sempre più alla spazzatura commerciale al banchiere che sogna la fotografia, giù fino all’infermiera e al lavapiatti. Ma soprattutto sono individui che, da una scena all’altra, si contrappongono spesso in binomi di opposti: immigrati e fascistoidi, vittime e carnefici, traditori e traditi. Con, cosa ovvia, alcune singolarità eccezionali e quasi fuori fuoco come Suman, che scarabocchia sui suoi quadernini preziosi componimenti whitmaniani di grande profondità.
Eravamo soli, Jérôme, questo lo sapevamo bene e ce lo ripetevamo alla sera, dentro al letto, prima di farci il segno della croce o un ditalino e abbandonarci al sonno. Non abbiamo mai dormito bene, dormire non faceva per noi ché quando smettevamo di muoverci non sentivamo più la realtà: il corpo era l’unico strumento per misurare le cose.
Una scacchiera di corpi
Pur basandosi su questa estrema diversità, Nicosia riesce a tenerli insieme, dando vita a un gruppo eterogeneo strutturato a legami contorti e raffigurandoci questa congerie di diversità economiche e sociali come un gruppo unitario, una comitiva bislacca. Lo stesso strumento utilizzato da Virginie Despentes in quello che, a tutti gli effetti, è uno dei grandi classici di questo nostro primo pezzo di millennio, La trilogia di Vernon Subutex (Bompiani, 2019). Forse a tenerli insieme, come d’altronde nella realtà, sono rapporti di forza, che scaturiscono arrivando a eccessi di violenza. Corpi, soprattutto, picchiati e usati, abusati quando diventano soggetti di scatti e riprese, ma anche corpi che si uniscono sui letti, corpi di età diverse che si incontrano e si danno reciproco piacere; e poi corpi selvaggiamente puniti seguendo il ritmo e gli slogan di ideali vani, membra che entrano in coma e riposano per mesi sotto controllo medico. Gli eroi si baciano, con questa sua scacchiera di protagonisti, è la disanima dell’ossessione e del rancore di un’intera generazione, quella degli anni zero, fra nostalgie del ventennio, xenofobia ma anche incapacità tutte personali di trovare un posto nel mondo, con l’arrovellamento sulle proprie incompletezze dei più giovani. Così, lungo una trama a singhiozzo che si accastella su pochissime scene centrali, sono i frammenti delle esistenze personali a fare da motore a tutto il volume.
Ognuno di noi dovrebbe avere una foto di se stesso mentre fa il saluto fascista, avevi detto a Jérôme: per capire l’orrore di quel gesto è necessario interpretarlo, occorre mettersi dal punto di vista dei carnefici. Una sera a casa di Nina, dall’ebbrezza che ti dà il pensare, avevi provocato Jérôme chiedendogli di provare a farlo. Jérôme aveva preso la giacca ed era uscito senza proferire parola, e la serata era finita così.
Roma
Lo sfondo è Roma. “Porta Maggiore, San Giovanni, via dell’Amba Aradam, terme di Caracalla, un’onda verde di semafori mi ha lasciato correre nel saliscendi delle grandi strade rettilinee”, e poi ancora l’EUR col suo Colosseo squadrato. Forse fra le città più adatte, col suo miscuglio di arte ed espansione lenta e stagnante, accoglienza e spinte borgatare all’ordine e alla pulizia. Un grande agglomerato che raccoglie soprattutto gente da parti diverse del globo, all’inizio o in qualche fase del loro difficoltoso percorso di integrazione fra sostanze stupefacenti, impieghi in nero e insulti razzisti dietro le spalle. Filippo Nicosia sembra non voler dimenticare nessuno, nel suo puzzle, e l’affresco che traccia, con una lingua lineare che si incolla ai pensieri e ai moti della generazione posta al centro del suo romanzo, ne diventa un’assai preziosa testimonianza. – Lamberto Santuccio