- Lamberto Santuccio
Philippe Sands, L'ultima colonia
Si sa che la storia e la geopolitica sono fatte a budelli e contorsioni, costruite spesso su singhiozzi e ritardi, che alcune loro situazioni entrano in vicoli ciechi e altre si protraggono lungo percorsi tutti svolte e tornanti. Però ci sono sempre scenari talmente impensabili e anacronistici da far esplodere lo stupore nelle cervella. Un esempio: in quanti avrebbero mai ipotizzato che la fase della decolonizzazione (quella effettiva e non costruita sulle “vene aperte” delle ex colonie, quella cioè mandata avanti da territori e popoli che combattono per e ottengono l’indipendenza) meriti, fra le parentesi dei titoletti sugli indici di manuali e libri di Storia, una possibile data di inizio ma non una di fine, e che quindi stia continuando tutt’ora, ai nostri giorni? È il nodo centrale dell’ultimo testo dell’avvocato ed esperto di diritto internazionale Philippe Sands, L’ultima colonia. Sullo sfondo della colonizzazione la storia di un popolo che lotta per la sua terra, pubblicato da Guanda nella traduzione di Elisa Banfi.

Le isole Chagos
Per trovare le isole Chagos su GoogleMaps occorre far schioccare più e più volte le dita e zoomare parecchio sulla striscia di Oceano Indiano che va dalle coste africane su fino all’India. Uno spruzzo di isole, isolette e scogli, un arcipelago che, vista la posizione strategica per i commerci, nei secoli è passato dai portoghesi agli olandesi e dai francesi, dopo la sconfitta di Napoleone, alla corona britannica, che lo ha annesso ai territori delle non troppo vicine Mauritius. Finché sono subentrati (anche) gli Stati Uniti, superpotenza che agli albori della Guerra Fredda ha richiesto al Regno Unito di installare su una di queste isole una base militare. Sono gli anni delle grandi rivendicazioni post-coloniali, delle dichiarazioni di indipendenza e delle annessioni all’ONU di sempre più numerose neo-nazioni; per attuare l’accordo con gli americani, dunque, il Regno Unito si ritrova costretto a loschi traffici, volti a perpetuare lo status coloniale delle Chagos. Indispensabile fu, fra le tante, lo spopolamento delle isole; decine di centinaia di abitanti, che fino a quel momento avevano vissuto in sintonia con tutti gli elementi di quel paradiso terrestre, vennero letteralmente deportati, installati con la forza e quasi senza supporto nelle Mauritius o altrove, e da quel momento fu loro vietato l’accesso alla loro terra natale. Nel frattempo eventi quali l’invasione sovietica dell’Afghanistan o le guerre del golfo rendevano la base militare americana un baluardo sempre più prezioso. Così i deportati, nonostante le denunce internazionali e le interpellanze insistenti, dopo oltre quarant’anni si ritrovano ancora vittime di un sopruso indicibile.
… e, come accade spesso nella vita, una volta che un’idea viene espressa non c’è più modo di fermarla. […] A grandi linee, il diritto internazionale funziona così: qualcuno sviluppa un’idea, la mette per iscritto (in un articolo o magari in un libro), poi quell’idea germoglia, diventa un testo su cui c’è un accordo diffuso e migra in altri testi acquisendo una vita propria man mano che i giudici ne interpretano e applicano le regole.
Bulli coi piedi sul tavolo del risiko
Philippe Sands conduce nel suo libro questa personale indagine, che lo vede protagonista in quanto avvocato dei cittadini delle Chagos, alternando magistralmente due differenti filoni. Anzitutto quello del suo campo. L’ultima colonia è infatti un lineare, documentato e narrativo resoconto delle numerosissime tappe della geopolitica globale. La bislacca situazione delle Chagos permette all’autore di illustrare un esempio lampante dei meccanismi della burocrazia giuridica internazionale, di sondarne enti, organismi e procedimenti, ma soprattutto di dimostrare ai meno esperti e ai neofiti la ricchissima rete che sostiene ogni lotta per i diritti dell’uomo. Spiegare le accuse di violazione del principio di integrità territoriale, deportazione, crimini contro l’umanità e ostacolo all’autodeterminazione dei popoli rivolte contro il Regno Unito sarebbe impensabile senza ritornare indietro a Norimberga, alle note e notule delle dichiarazioni ufficiali dell’ONU, ai processi di decolonizzazione che hanno attraversato tutto il Novecento; le lotte, specie quelle giuste, sono impossibili senza il solido sostegno dei combattimenti precedenti, avvenuti spesso a latitudini e longitudini diametralmente opposte. Ma da queste pagine tecniche viene fuori anche un’altra denuncia, ben più da brividi. Nei meandri e corridoi degli organismi internazionali è presente, e ne appesta l’aria in maniera asfissiante, un disequilibrio che avvantaggia le grandi superpotenze; il loro comportamento trasuda una sfacciataggine vomitevole, sembrano bulli di fronte a un risiko di cui non rispettano consapevolmente le regole base, e procedono con voltafaccia e imbrogli nella totale sicurezza della loro impunità. “La Gran Bretagna sapeva benissimo, nel 1965, che la sua condotta era illegale” si legge a pagina 141, ma è solo un piccolo, minuscolo esempio; “Invece di rispettare la norma, aveva fatto in modo di aggirarla e aveva forviato le Nazioni Unite inventandosi che le isole non erano abitate stabilmente”. Senza parlare, poi, delle percentuali inammissibili di pelli bianche nei semicerchi del potere, della misoginia a L’Aia o New York, della fatica di brillanti avvocati e giudici piagati dalle loro origini non occidentali…
La forza di una singola voce
Nessun tecnicismo elitario, però, né un testo intricato e incomprensibile. La grandezza di Philippe Sands, già utilizzata nelle sue opere precedenti, sta tutta nella sua capacità di non sviare mai dalla centralità dell’individuo e di mettersi totalmente al servizio delle persone, nelle aule di tribunale così come sulle pagine dei suoi libri. Ecco perché la grande protagonista del volume è Liseby Elysé, una delle deportate delle Chagos. Quando, il 27 aprile 1973, viene costretta ad abbandonare in quattro e quattr’otto la sua casa, è incinta del primo figlio, ma lo perderà a causa dello sfibrante viaggio e della disperazione dello strappo. Non sa leggere, non conosce nulla di cosa sia successo in Europa durante il conflitto mondiale o in Iraq a cavallo fra i due millenni, non ha mai sentito parlare delle isole Falkland e quindi non può confrontarle con le sue Chagos, facendo perno sull’evidenza dei due pesi e due misure nella politica internazionale britannica. Ma la sua famiglia è disseminata ovunque a causa della diaspora coatta del suo popolo e, nei decenni, ha visto scomparire amici e parenti, tutti desiderosi, fino all’ultimo respiro, di tornare a rivedere la loro terra. E, cittadina britannica, si esprime in un patois di stampo francese che testimonia gli strati sedimentati sulla sua terra natale. Sands la mette a fuoco con una telecamera e registra la sua testimonianza, poi prende il video e lo proietta nelle sale dove si gestiscono le grandi questioni internazionali; è anche grazie alla potenza della sua voce se qualcosa si smuove, è anche grazie alle sue parole semplici ma commoventi se uno sparuto gruppo di isole sconosciute riesce a “sconfiggere” una delle nazioni più potenti del pianeta. Sulla foto dell’ultima pagina, Madame Elysé ha come sfondo le acque delle sue Chagos e affonda i piedi su una sabbia che comunque, tutt’oggi in questo nostro 2023, non è ancora totalmente “sua”.
«Sono dispiaciuta, ma continuo a sperare.» Tace un attimo. «Gli inglesi? Fa male essere trattati così e dover continuare a soffrire per colpa loro.» Pragmatica e dignitosa come sempre, non capisce perché non vogliano aiutarla a tornare a casa sua.
«Un giorno ci andremo insieme, promesso.»
«Aaah» sospira. «Sarebbe bello, sarebbe proprio bello.»
Il passato coloniale del “mio” paese
La compresenza nel libro di questi due aspetti complementari fa del suo contenuto una preziosa analisi. Stupisce anche l’assenza quasi totale di aggettivi, termini o esplicite espressioni lungo lo spettro dell’ingiustizia e dell’iniquità: sono i fatti e gli eventi, con la loro lapalissiana chiarezza, a parlare. Soltanto chi è immerso nei meccanismi e nella storia può raggiungere una tale natura; e infatti, in terza istanza, L’ultima colonia è anche il personale percorso di chi lo ha scritto e se ne sente chiamato in causa, per origini e per lavoro. “Sapendo molto poco sulle Chagos”, ammette Philippe Sands a metà libro, “mi documentai e rimasi sconvolto da quella sequenza di ingiustizie continue, nonché dalla mia ignoranza. Ero consapevole che il mio paese aveva un passato coloniale, ma non conoscevo la storia della sua ultima colonia africana”. Sfido chiunque, una volta arrivato alla fine, a non sentirsi un briciolo più consapevole di questo nostro mondo e a non volerlo raccontare a destra e a manca. - Lamberto Santuccio