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  • Carlo Albarello

Santo Cielo!

Quando leggerete il romanzo di Eric Chevillard, preparatevi a entrare in zone “di densità variabile”. “Perché questi movimenti, questi spostamenti?” Piccole capriole indispensabili per seguire i passaggi di stato-spazio-coscienza-dubbio, che sperimenta Albert Moindre, eroe dimezzato dal cognome debole, protagonista di Santo Cielo, tradotto da Gianmaria Finardi per Prehistorica Edizioni.



Sì, Albert il Minimo, 50 anni, ingegnerie specializzato nella manutenzione di ponti trasbordatori (non ponti fissi) e aspirante poeta (Le lacrime di Adèle sono la sua opera in versi che non trova editori). Soccombe a 50 anni crivellato di datteri e di olive ed è diventato “volatile più leggero dell’aria” (p. 76). “Mai avrebbe creduto di raggiungere un giorno un tale distacco. Si sentiva bene. Più esattamente, non sentiva nulla” (p. 8).


Dove viviamo?

Dove si trova, non lo sa. Non gli sono d’aiuto le rappresentazioni dell’arte e della letteratura per decifrare l’aldilà e nemmeno le testimonianze di chi dice di essere stato vicino alla morte e di aver attraversato un cono di luce. Abbiamo fin dalla prima pagina del romanzo un indizio, che dobbiamo fare nostro: Albert Moindre aveva cambiato campo lessicale, occorreva tenerne conto. In quale spazio ci vuole condurre? In un aldilà da scoprire, perché “ora, è il reale a deluderci. Come potremmo amarlo dato che abbiamo ricevuto il dono pernicioso di sognarlo altrimenti, di sublimarlo con l’immaginazione (p. 106).


Un uomo senza gravità

Seguendo le peripezie di questo eroe senza gravità, impariamo a riconoscere il “mondo in tutta la sua magnificenza […] un oggetto pieno […] che non si rischia di cogliere finché ci si muove in superficie (pp. 74-75). Simile alla visio in somnis dantesca, si è immersi in una luce particolare nel supposto Paradiso, dove “regna un chiarore neutro, come depurato dalla luce stessa che abbaglia sempre un po’ e si sostituisce nel nostro occhio a ciò che pretendeva di svelare” (p. 124). E stupito dai suoi stessi occhi, si chiede se abbia “raggiunto il cielo della verità” e si chiede “che è tutto così confuso sulla superficie della Terra. Baraonda confusione, geyser” (pp. 82-83).


Aprendo il libro sappiate che sarete catapultati “nell’assurdo ingranaggio in cui ci introduciamo innnocentemente spingendo la porta” (p. 96). E con Clarisse, sua compagna di ventura, sua vicina di casa del limbo, bocciata al concorso di Miss Colorado 1931, attraverserete “zona vuote e senza materia, di densità variabile. […] Parrebbe di stare […] in uno di quegli edifici la cui architettura labirintica preannuncia le vane complessità amministrative che si incontreranno” (p. 96).


Ectoplasmi e avatar

Albert Moindre, Alberto il Minimo, quasi ultimo discendente della dinastia dei Pipini, ha però un sacco di domande: che cosa resta di noi? Abbiamo un’anima che vive dopo la morte? Avremo un corpo e a quale età della nostra vita corrisponderà nel giorno del Giudizio Universale? Dopo la morte che cosa ci si aspetta. “Cosa resta di me? La paga – di riscuotere quelle che ci è dovuto, la ricompensa per la nostra sofferenza e per la nostra buona volontà (p. 127). E poi: Ma su quali principi si calcola questa ricompensa? E quali saranno le gratifiche, i vantaggi? Ebbene, tutte queste domande, come le precedenti, restano senza risposta (p. 128).


Dopo tutto “la morte permette di relativizzare le piccole contrarietà dell’esistenza. […] Non si fa più una montagna da un granello di sabbia. Cambiano le priorità” (p. 28). Proprio l’incertezza è il suo castigo per l’eternità. Meglio imparare a vivere in una situazione d’attesa, provvisoria. Per Albert Moindre “è cosa scritta nel suo destino: non saper nulla. Ignorare persino se quell’inferno era l’Inferno” (p. 28).


Siamo degli ectoplasmi, riassume il protagonista. Unica certezza, suggeritagli da un angelo roccambolesco, è che dopo la morte “la barba non cresce” e che “se il tuo cadavere non si rade più, non si terrà conto di questa civetteria nuova al momento della creazione del tuo avatar spettrale” (p. 127).


Albert nel suo procedere si muove come su una striscia di Moebius, una superficie unilatere e non su un piano euclideo. "E poi no, non morto. Non esattamente. Non del tutto. Non come lo intendeva lui. Lo scontro con il furgoncino di Gaétan Lariotte forse non è stato tanto brutale. Poteva essere che uno fosse più o meno morto? " (p. 118).


Conclusioni

Leggere Santo Cielo regala un’ironia perfetta, legata a effetti sorpresa che non posso, neanche qui, svelarvi perché (Albert è un po' infastidito) "sono proprio quelli che non capiscono niente a detenere il potere”.

Ti è piaciuto? – chiede una delle voci dell’aldilà ad Albert Moindre, verso la fine del suo viaggio. Semplice trompe-l’oeil […] a volte, giochiamo per soddisfare le vostre attese (p. 143). Le mie, caro Eric Chevillard, sono state completamente soddisfatte. Il suo romanzo mi è piaciuto moltissimo. - Carlo Albarello

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